banner high bracciano

26 settembre 1972 - cronaca (Carlo Sanvito, 28 febbraio 2011)

Eccomi sveglio con qualche anticipo. Stranamente ho dormito bene.
Ieri sera ho salutato Bracciano, ho fatto le telefonate di rito, sono stato a mangiare al Posta ma mi sarebbe piaciuto tornare alla Persichella dove avevo iniziato la conoscenza della cucina romana quel famoso 9 aprile prima libera uscita non ufficiale, non lo ho fatto con un po' di rimorso, ma eravamo in gruppo.
Per tutta la cena e' girato il totodestinazione da Sten. Era un po' un modo come un altro per tenersi occupati in un argomento che non ti impegnava in profondita' piu' di tanto. Aleggiava uno strano sentimento nell'aria : un misto di nostalgia anticipata e di euforia compressa.

Adesso faccio le solite cose di tutte le mattine, con in piu' un'ultima verifica nel mio armadietto che ho gia' svuotato ieri sera. Strappo dall'anta la lunga lista di calendario che avevo fatto il secondo giorno dopo l'arrivo in cui, un po' lagnosamente, mi sembrava che questa stecca con la cancellazione progressiva dei giorni che passavano mi avrebbe avvicinato piu' in fretta alla fine.

Come e' cambiata la mia visione delle cose in questi mesi !
Ora non dico che non vorrei andarmene, ho pero' la sensazione netta che qualcosa di particolare e di irripetibile stia finendo.

Stiamo radunandoci per l'alzabandiera.
Marzano e gli altri Sten ci hanno trattato per la prima volta diversamente: lui con piu' disinvoltura, Piersanti con un minore senso di snobismo, Di Pieri con paciosita' e Gambacorta con cameratismo.
Avviandoci per i vialetti ci stiamo guardando un po' di sottecchi: e' difficile scegliere l'atteggiamento spontaneo da tenere, almeno per molti.
Ci siamo: e' l'ultima volta che entro in questa fila di militari.
Il meglio lo dà alla fine Toppan. Il suo 'rompete le righe' sembra il solito, ma ha una sfumatura di ironia non tanto velata che fa capire cosa viene dopo. Qualcuno getta in aria il basco.

Torno verso la camerata, guardo ancora come tutti i giorni i merli americani che sopravvivono nella gabbia a forma di semovente e di colpo realizzo una cosa: qui non ci verro' piu' durante la mia vita.

Non potro' rivedere questi luoghi in cui ho vissuto, penato e riso per sei mesi poiche' fra qualche ora non avro' piu' alcun titolo ad entrare in questa caserma e a raggiungere questa camerata. Non ne avro' nei prossimi mesi da Sten in quanto di servizio in tutt'altra regione ne' tantomeno poi da civile.

Attimo di fermo pensieri, poi mi faccio trasportare dal gruppo verso la camerata.
La mattinata si trascina con faticosita', si fanno le ultime incombenze amministrative di consegna in un clima impacciato e di "prego, vai avanti tu".

Ad un certo momento arriva Marzo con una faccia da grandi incazzature (la sua classica dei momenti tesi), anche qui saluti impacciati, non capisci se e come forare quella armatura di distacco che ha portato per mesi e che spesso sentivi non essere alla fin fine vera. Gli stringo la mano e gli dico grazie, io so per che cosa, forse lo sa anche lui.

A mezzogiorno breve ultimo rancio da soldati semplici: devo dire che non so proprio cosa ho mangiato, anche se mi sembra di aver buttato giu' qualcosa.
Poi l'atto finale.
Zaino pronto, riverifica degli indirizzi gia' scambiati piu' volte, ultimi saluti con molto imbarazzo: sembra sempre di non aver detto e dimostrato tutto quello che volevi.

Esco a prendere la mia 500, entro, mi metto a fianco della porta della camerata e carico zaino ed altre cose (ad esempio questa sciabola comprata in gruppo in formato standard da un fornitore napoletano a cui manca una spanna per essere giusta per me).
Vista la ressa per uscire devo girare intorno alla palazzina del 68°.
Mentre passo davanti alla loro porta, da un cespuglio esce di corsa un tipo del 68°, riconosciuto poi in Paolo Oldani, che mi tira una secchiata d'acqua sulla 500: chiaramente dal finestrino semiaperto l'acqua entra a bagnarmi in parte la divisa. Non mi fermo per non avere altri saluti simili in quanto vedo altri figuri muoversi dietro l'angolo.

Sono fuori, mi avvio verso Firenze dove ho un appuntamento serale con la mia ragazza che viene in treno da Monza. L'idea e' di stare un due-tre giorni insieme prima di tornare a casa.
Rivedo via via lungo i primi chilometri i luoghi che ho battuto in questi sei mesi. Arrivo sopra Trevignano e mi fermo: e' l'ultima vista del lago prima di entrare nel viterbese. Me la voglio imprimere in mente ben bene.
Ne approfitto anche per cambiare la divisa (ancora umida) e diventare civile.
Mentre sono li' passa Nardelli che, avendomi visto a lato della macchina, si ferma per chiedermi se ho bisogno di aiuto: grazie, questo interessamento immediato e' il distillato dei legami che sono derivati da questi sei mesi di vita insieme.

Riparto e punto un po' confusamente per entrare in autostrada a Magliano Sabina.
Ad un certo punto del percorso autostradale decido di fermarmi ad un grill.
Come se ci fossimo dati appuntamento trovo tutto il gruppo toscano: Berna, Biserni, Ciofini, Altadonna, Panerai e Giachetti.
Ora siamo piu' sciolti, il dado e' tratto, siamo un po' entrati nella nuova veste di persone che si sono gia' salutate ed hanno quindi dato fondo all'emotivita'.
Qui pero' ho l'ulteriore favore da parte di questi amici che non rivedro' per un bel pezzo: Massimo Ciofini si offre di guidarmi fino alla stazione di Firenze dove, a sera, arrivera' la mia ragazza.
Mi precede per qualche centinaia di chilometri di autostrada e mi guida poi per vie cittadine che non avrei mai potuto da solo azzeccare : lui ha rappresentato l'unica possibilita' di arrivare in orario all'appuntamento.
L'ultimo saluto e' per lui. E' il sigillo di fine per l'ultima giornata di corso.
Entro nella stazione e con un tempismo da vero militare arrivo al binario mentre il treno da Milano si arresta.


Torna ai Ricordi