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7 aprile 1972 - cronaca (Carlo Sanvito, 28 febbraio 2011)

Giallo, giallo, verde, giallo, verde, verde, marrone, giallo,...
Questo e' quello che sto vedendo, con la testa appoggiata al finestrino di corridoio, dal treno in corsa in mezzo alla pianura padana : campi di colza, campi di frumento, campi senza coltivazione che scorrono intervallati l'uno dietro l'altro. Se alzo lo sguardo vedo l'azzurro infarinato del cielo lombardo, o forse gia' emiliano.

Dietro di me sento le voci di Valerio, Paolo e Franco che fanno battute sul prossimo futuro da militari di leva. Loro tre sono piu' rilassati, vanno tutti e tre nello stesso battaglione alla Cecchignola di Roma, io solo, una volta giunto a Roma, devo trovare come arrivare a quel cavolo di paese che e' Bracciano e devo arrivarci entro le ore 22 di questo 7 aprile, data di convocazione ufficiale dell'Esercito Italiano, poiche', si dice, dopo quell'ora puoi essere considerato disertore (voci terroristiche messe in giro all'universita').
Il problema e' che per fare il viaggio con loro tre mi sono accordato per prendere questo treno da Milano che arrivera' a Roma alle 19, 30.
Ce la faro' ?

Un senso di gelida tensione, un bel 'magone', mi ha preso da questa mattina, progressivamente aumentando via via che salutavo mia madre e Monza, preparavo il minimo che mi porto dietro e mi mettevo in movimento.
Anche ora c'e' e cerco di mitigarlo contando l'avanzare delle ore con una nuova visione dell'uso dei meridiani, non piu' da Greenwich ma da Monza, da casa : sono 3 ore e 30 minuti che me ne sono andato, sono circa 2 ore che sono su questo treno, saranno 8 ore e 30 quando arrivero' a Roma. Cosi' mi sembra di avere ancora un filo che mi unisce alla solita vita.
Le battute dei tre si spostano sui personaggi dell'universita' e sui vari altri che come noi in questi giorni si stanno sparpagliando per l'Italia seguendo le direttive di raccolta dell'Esercito Italiano.

Il tempo alla fine passa e, fortunatamente, sbarchiamo alla stazione Termini in orario.
Non faccio in tempo a scendere che tre rapidi 'ciao' mi abbandonano sul marciapiede e li vedo di corsa infilarsi nella metropolitana. Che cazzo, almeno una finta di aiuto a cavarmela in questo casino di stazione potevano spenderla!

Mi aggiro un po' sperduto, chiedo ad un tipo come si faccia ad andare a Bracciano: "Prendere i laziali" - e con cio' se ne va. Ne so appena un po' piu' di prima.
Vado al bar e con cautela, cercando di non dare l'impressione di essere quell'imbranato che saro' sempre, dopo il cappuccino butto li': "Dove si prendono i laziali?"
Sicuramente non sono riuscito a mimetizzarmi perche', con un sorriso un po' strafottente, il barista mi dice : "Va' in fonno ai binari, sono dopo il 40". Bene ho localizzato.

Intanto sono quasi le 20 e mi guardo intorno. A due tazzine in la' c'e' un tipo che ha il mio stesso sguardo, forse un po' peggio. Mi avvicino e butto li': "Anche tu vai a militare? A Bracciano?" Sì, ad entrambe le risposte.

Bene, penso, adesso non sono solo. Ma anche lui con una rapidita' irraggiungibile prende su la sua valigetta e sparisce. Solo in seguito scopriro' che ho fatto la prima conoscenza con Ciro Cherubino.
Faccio due telefonate di punto della situazione con madre e ragazza e mi avvio ai laziali. Tutto tranquillo, si parte alle 20 e 15. Per quel poco che intravvedo nelle ultime luci della giornata, immagino come debba essere bella la campagna romana. E come sono evocativi i nomi delle stazioni che si susseguono : Vigna di valle, Tomba di Nerone, La Storta,...
Le persone che viaggiano con me sono pendolari semiaddormentati. Io non me la sento, ma se anche volessi avere informazioni su dove sto andando, dovrei fare una azione di forza per svegliarli.

Con una buona dose di fortuna riesco a vedere la scritta Bracciano in tempo ed a scendere alla stazione giusta.
Scena dantesca: un vento non leggero accoglie me ed una decina di figure, come me stralunate, che si tirano dietro bagagli da emigranti, vestiti in maniere assurde (da giacca e cravatta a capellone con chitarra) e tutti completamente sbandati su quello da fare.
Un tipo con mostrine esce da uno stanzone, si avvicina e con aria di importanza chiede se dobbiamo andare alla Romano. Grande insuccesso perche' nessuno sa cosa e' questa Romano. Si capisce subito che ci stava un po' pigliando per i fondelli, cambia atteggiamento, entra nel suo ruolo, vuol vedere i documenti e ci carica, subito fuori, su una specie di carro bestiame con ruote di gomma: il primo incontro con i mezzi militari gommati che odiero' per tutto il tempo che dovro' usarli.
Usciamo dalla stazione un po' dopo le 21 e 30, forse me la cavo sui tempi. Passiamo in velocita' per un centro vuoto che imparero' a conoscere poi in tutti i dettagli: Bracciano mi accoglie intanto con il silenzio della sera e la luminosita' terminale della serata romana.

L'automezzo si mette subito a ricambiarmi l'odio gettandomi addosso ad ogni curva la spalletta di legno e, in pratica, togliendomi la camicia dai calzoni e facendomi esporre la schiena al vento. Il peggio e' quando, arrivati in cima alle case di Bracciano, ci fiondiamo giu' per una discesa, nessuno riesce piu' a stare al suo posto, chi si inclina verso il pavimento, chi si torce sul sedile di legno, mugolii verso l'autista che non sente.
Entriamo in un portone con sentinelle: primo impatto con la vita militare e sensazione di prigionia. Nessuno parla, tutti ci guardiamo.
Scendiamo ed improvvisamente si palesa la differenza razziale: gli ACS vengono prelevati e fatti sparire e gli AUC raggruppati e messi nelle mani di un tipo che dice di essere scelto; ma scelto per che? Ma nessuno fa domande.

La cosa si fa inquietante, questo ci porta, sempre sotto un vento teso, per un sentiero che a quell'ora ed al buio sembra impossibile da ricordare.
Sfiliamo fra siepi fino ad arrivare davanti alle macchinette del caffe, il tipo scelto fa un po' di battute con altri tipi che si danno un'importanza micidiale in quanto tengono al piede dei fucili. Le battute sono su di noi, in altri tempi avrebbero potuto portare a confronti fisici, ora stiamo tutti zitti e mogi.

Si riparte ed improvvisamente si gira un angolo.
Proseguono le scene dantesche: un grande fuoco (ormai fa freddo ed umido) davanti all'ingresso di una palazzina bassa e bruttina, un tipo con le stellette che parla un po' strano seduto ad un tavolino con dei fogli davanti, un altro tipo con il fare John Wayne con un piede su una sedia che ci guarda con disprezzo ed ostenta tutta la grinta che gli viene, ai lati ombre ferme ed ombre in movimento.

Personaggi ed interpreti : il primo e' un tal Sten. Marzano, il secondo il primo degli scelti del 66° - tale Mazzola che si proclama nostro capobatteria - le ombre ferme sono altri scelti del 66°, quelle in movimento sono compagni arrivati in precedenza. Queste ultime due tipologie di figure irresolute rappresentano proprio il senso della situazione -nessuna di loro sa cosa fare di preciso.

Ci mettono in coda e dopo un po' vengo avvicinato al tavolino.
Lo scelto Mazzola con una certa prosopea mi fa un po' di domande che non riesco a collocare in una precisa logica, l'altro, quello con la barba che, vista da vicino, non mi sembra precisamente curata, senza fare storie, dopo avermi fatto firmare qualcosa gli dice: "Con Maggiolini".
Ed ecco Maggiolini che, chiamato, s'avanza, pacato, con il fare tranquillo e gentile che non lo abbandonera' mai nei successivi tre mesi, mi saluta dicendomi che e' lo scelto del box che mi hanno assegnato e mi guida in uno stanzone a destra appena entrati nella palazzina.

Visione fosca ad una luce incerta di lampade semispente: chi dorme attorcigliato in forme strane in brande al limite dello sfacelo, chi, ancora in piedi, tenta di utilizzare quello che ha trovato sulla branda ma non ci capisce del tutto, chi si aggira muovendosi fra armadietto e branda senza arrivare a concludere quello che aveva in mente di fare.

Ne approfitto e mi approprio di una branda libera in fondo vicino alla finestra ed al piano di sopra: il massimo per le mie aspettative - nessuno sopra, aria libera ed almeno un lato da cui non sono spiato.
Seconda tappa alla conquista dell'armadietto su cui pongo platealmente un bel lucchetto corazzato, altamente consigliato da radio universita' che prometteva furti a raffica nelle camerate.
Terza tappa a visitare ed usare le cosiddette latrine (ne' gabinetti ne' cessi) che alla fine dei sei mesi avro' imparato a capire.
Ora ho sotto controllo tutti (e gli unici) elementi forniti dal Demanio Militare per ricostituire casa.

Sono le 22,30 abbondanti, sono cotto e mi metto in branda.
Tento di rivisitare i vari momenti della giornata, mi dico che alla fin fine sono stato bravo e che mi e' andato quasi tutto bene, riesco a dimezzare il senso di tensione dicendomi che almeno la logistica e' a posto. In sottofondo sento indistintamente qualcuno che si muove intorno alla branda sotto, armeggia un po', bofonchia qualcosa con una cadenza strana e cantilenante ed e' cosi' che, inconsapevolmente, Roberto Maestri mi accompagna a chiudere la giornata e gli occhi.


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