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Giornata di tiro a Santa Severa (Osvaldo Agostani, 2 ottobre 2011)

Quella mattina ci diedero la sveglia presto, molto prima del solito.
Ma lo sapevamo , ci avevano avvertiti il giorno prima.
La voce del Caporale di Giornata echeggiò nelle camerate rimbalzando di box in box, arrivando ad ogni singola branda, insinuandosi sotto le ruvide coltri ferendo come una lama orecchi ancora addormentati: “Sveglia! Sveglia!”
Quasi all'istante, all'unisono, decine di AUC saltarono dalle brande, scivolando fuori da quelle inferiori e calandosi dalle superiori e come automi si recarono, quasi trascinandosi, verso i bagni.
Alcuni indugiavano presso le brande per rifare il maledetto cubo tentando così di guadagnare tempo schivando la coda.

Niente reazione fisica questa volta e subito a far colazione già preparati in assetto di guerra per una rapida partenza. L'adunata nel piazzale con il solito rito dell'alza bandiera: i box schierati ed allineati, gli scelti che presentavano la forza a Toppan che ringraziava con un cenno del capo, si girava, correva verso gli ufficiali immobilizzandosi nel saluto battendo i tacchi e presentava la Batteria al tenente Marzo; la bandiera che saliva mentre tutta la Seconda Batteria era immobile sugli attenti nella grigia luce dell'alba del freddo mattino.

Poi di corsa all'armeria dove ci diedero i nostri Garand (senza munizioni) e via ancora verso il piazzale d'ingresso dove attendevano i famigerati CL.
Salimmo a gruppi sui camion, i più ginnici per primi poi tutti gli altri a volte aiutati da una mano amica.
E la colonna si avviò.
Davanti la AR del Comandante e dietro tutti i CL con gli ufficiali e i sottufficiali a fianco del guidatore mentre gli AUC stavano nel cassone seduti sulle dure panche laterali con la schiena rivolta all'esterno.

Strade deserte a Bracciano mentre la colonna passava, case fantasma abitate da fantasmi.
Qualcuno sul CL tentava di dormire ancora un po' ma i più, infastiditi dall'aria che filtrava inesorabile dai teloni, fissavano muti punti lontani stringendo fra le mani il secco legno del fucile che tenevano ritto d'innanzi. Solo i due all'estremità guardavano la strada scorrere via sotto di loro e cercavano di cogliere immagini nuove.
Superato l'abitato ci inoltrammo in una zona selvaggia e deserta con la strada che si snodava fra curve e dossi che mettevano a dura prova la resistenza fisica dei poveri AUC che sobbalzavano di frequente sulle panche cozzando spalla contro spalla mentre l'aria era ammorbata dai tremendi gas di scarico che il vento malefico faceva entrare prepotentemente nei cassoni.
Freddo nelle ossa, respiro faticoso, scomodità esagerata con scosse continue, stanchezza già di primo mattino: la giornata si annunciava bene!
Dopo molto tempo entrammo in un abitato e la colonna sfilava fra marciapiedi stretti, percorsi da gente frettolosa; ma di tanto in tanto incrociavamo anche bambini che andando a scuola si fermavano e ci guardavano con ammirazione. E il mio ricordo se ne andò verso tempi lontani in cui anch'io bambino guardavo affascinato i soldati passare sui camion con i fucili dalle baionette innestate e gli elmetti in capo.
E mi sentii orgoglioso per quel solo istante, per quegli sguardi innocenti ammirati, mi piacque in quel momento l'essere soldato!

Quando Dio volle, arrivammo a destinazione: un luogo selvatico in riva al mare presso Santa Severa.
Lì ci aspettava il poligono di tiro con armi leggere.
Scendemmo dai CL e fummo subito inquadrati. Ci diedero sommarie indicazioni di comportamento per le ore seguenti e ci preparammo ad una lunga attesa.
Vedevamo ufficiali e graduati trafficare intorno alle casse di munizioni e di armi comuni, selezionare oggetti, verificare contenuti. Poi qualcuno si mosse e andò lontano per sistemare i bersagli.
Iniziammo infatti il tiro a distanza con il fucile.
Ci diedero ciascuno un caricatore con 8 colpi e ci raggrupparono in squadre di dieci elementi. Poi squadra dopo squadra venimmo avviati alle piazzole.
Era la prima volta che in vita nostra maneggiavamo una vera arma carica e ci apprestavamo a fare fuoco e una sottile emozione correva in diverso modo nell'animo di ognuno. Molti di noi temevano anche il famoso rinculo del calcio del Garand sulla guancia e sulla spalla.
Fui inquadrato nella prima squadra ed ero nella prima piazzola di destra con Alpago alla mia sinistra e via via tutti gli altri che a uno a uno si distesero per terra.
Quando ci ordinarono di caricare guardai verso il bersaglio e vidi sgomento a 100 metri di distanza non il bollo nero del centro ma solo la macchia bianca indistinta del tabellone.
Un silenzio surreale aleggiava intorno a noi, poi il comando: “Tiratori fuoco!”
Il sangue si mosse nelle vene ma nulla accadde, né io né gli altri sparammo e ci fu un attimo in cui non si sentì nulla, ognuno restava in attesa del primo colpo sparato da un altro e solo un leggero alito di vento si muoveva fra le piazzole.
Poi il primo colpo secco un po' distante.
E un altro, altri ancora.
Allora presi coraggio, tirai un gran respiro e concentrai tutto me stesso nel dito indice della mano destra mentre la sinistra cercava di stringere il legno del fucile e allo stesso tempo tesi spalla e guancia che si appoggiavano sul calcio del Garand: avevo una gran paura perché non avevo la minima idea di quanto forte sarebbe stato l'impatto.
Poi tirai.
Chiusi gli occhi e tirai.
Un secco e sordo rumore mi esplose vicinissimo e un gran colpo mi scosse la spalla destra.
Ci fu del fumo che uscì dalla canna e offuscò per un attimo il bersaglio lontano.
Mi ricomposi, cercai di mirare sistemando il mirino fra le due tacche come mi avevano insegnato e tirai ancora, poi ancora, ancora e ancora.
Quando tutto fu terminato, là in fondo gli addetti ai conteggi urlavano qualcosa relativamente ai nostri risultati ma io non sentivo nulla rapito dall'esperienza nuova che avevo vissuto (e superato).
(Seppi poi che non avevo fatto un gran risultato e che invece Alpago alla mia sinistra era stato il migliore di tutta la Seconda Batteria vincendo una licenza premio per andare a casa: sempre mi restò il dubbio di aver sparato qualche colpo sul suo tabellone e di aver contribuito alla sua vittoria).

Dopo un lungo periodo di attesa non lontano dalla spiaggia, così che già si immaginava il mare, fummo trasferiti alle pistole. Grandi tabelloni con un bel bersaglio nero al centro campeggiavano allineati a dieci metri di distanza dalla linea di tiro. Anche qui fummo divisi in squadre e ci avviammo ad un nuovo destino. Io avevo sentito dire da quelli del 66° che la Beretta “sparava alto”, cioè aveva la tendenza a un forte rilevamento soprattutto per chi non la sapeva impugnare bene (e chi l'aveva mai impugnata?), perché infatti sparavamo con una mano sola.
I nostri istruttori comunque ci avevano addestrato a tenere il braccio disteso ma non rigidamente diritto in modo che lo snodo del gomito assorbisse parte del rinculo (contrariamente allo stile attuale del tiro sportivo dove invece insegnano a tenere il braccio il più disteso e rigido possibile...).
Io che sono sempre stato “furbo” quindi pensai che avrei potuto battere tutti con un accorgimento intelligente: avrei mirato basso, verso la cornice inferiore, in modo tale che il rilevamento esagerato dell'arma mi avrebbe fatto colpire esattamente nel centro.
Così quando sparai i primi due colpi della mia serie di sei, l'istruttore che stava dietro di me mi avvertì: ”Guarda che stai sparando nella sabbia.”
Una rabbia bestiale mi assalì, stavo buttando nel cesso il mio successo, sparai in rapida successione i rimanenti colpi mirando dritto nel bersaglio e feci quattro centri!
Ma ovviamente dopo due zeri non bastò a classificarmi fra i primi.
Sempre mi rimase l'impressione che se avessi sparato i primi due colpi in modo “normale” avrei potuto anche vincere (e forse questo mi rimase impresso nella mente perché in tarda età imparai a sparare e divenni un discreto tiratore di pistola).

La giornata era già in gran parte trascorsa e gli AUC bivaccavano pigramente in gruppetti. Non era molto chiaro cosa ancora ci aspettasse e cosa stavano facendo gli ufficiali ma sembrava a tutti evidente che le esercitazioni erano terminate.
Io, preso dalla noia e forse anche un po' dalla stanchezza, mi mossi lentamente un po' in disparte. Poi, quasi assalito da subitanea nostalgia, sentii un forte desiderio di vedere il mare.
Così sgattaiolai di lato dietro due CL e poi chinato in un canale, corsi verso la spiaggia.
La risacca della marea montante schiumeggiava con tranquillo rumore ed io mi persi nel tempo con ricordi lontani.
E fu all'improvviso che sulla destra a non più di 50 metri comparve un ufficiale.
Non so chi di noi due fosse più sorpreso ma fu solo un attimo, poi si avvicinò a me che mi ero prontamente alzato da terra e mi chiese secco: ”Che ci fai qui?”
Risposi lì per lì qualcosa senza significato e il tenente mi ordinò di rientrare nei ranghi.
Cosa che feci ripetendo quatto quatto il percorso di andata.
Nella Seconda Batteria nulla era cambiato nel frattempo e i ragazzi oziavano come prima mentre il tramonto si avvicinava.

Qualcosa si mosse fra gli ufficiali, si raggrupparono confabulando attirando l'attenzione dei più vicini.
Poi il Tenente Marzo si avvicinò con l'aria buia dei momenti peggiori.
Dietro lui tutto lo staff capeggiato da Marzano.
Arrivati a breve distanza Marzano chiamò l'adunata e la Seconda Batteria si schierò.
Marzo si piazzò solitario davanti a noi, tutti gli altri ufficiali qualche metro dietro seri.
“Il Tenente Janniello (così si chiamava quel tale) ha trovato tre di voi allontanati lungo la riva del mare!”
Pausa ad effetto con gli occhi di brace roteanti su tutto lo schieramento.
“Questa è una mancanza di estrema gravità! Abbandonare senza permesso i ranghi durante un'esercitazione è uno dei reati più gravi che un allievo può compiere. Adesso ordino che i tre sorpresi dal Tenente Janniello fuori dallo schieramento si facciano avanti spontaneamente per i provvedimenti del caso.”
Nonostante fossimo sugli attenti un mormorio soffuso provenne da tutta la Seconda Batteria, gli allievi erano sorpresi e meravigliati da un caso così inatteso e strano.
Dopo pochi attimi, rendendomi conto che era mio dovere sbrogliare la situazione costasse quel costasse, alzai la mano.
Ero in prima fila e Marzo mi vide subito.
“Che c'è?” Disse
“Signor tenente io sono stato trovato dal tenente Janniello fuori dai ranghi (attenzione non dissi esattamente “sulla riva del mare”) ma ero da solo non in tre.”
Marzo con aria seccata mi fece segno di rientrare nei ranghi “Ho chiesto chi erano quei tre!” Urlò “E tre debbono uscire!”
Naturalmente non si mosse nessuno in un silenzio glaciale pieno di tensione.
Allora Marzo esplose “Non solo avete commesso una grave infrazione ma siete anche dei codardi!” E ci fulminava con lo sguardo adirato “Ma noi andremo in fondo a questa cosa e se i tre non usciranno pagheranno tutti. Sono stato chiaro?”
A questo punto, conscio della gravità estrema sentendo la meraviglia e lo sbigottimento generale di 140 bravi ragazzi, decisi di confermare la mia colpa. E alzai nuovamente la mano.
“Che c'è ancora Agostani?” Proferì Marzo annoiato.
“Signor tenente, con tutto il rispetto, insisto nel dire che io sono stato trovato fuori dai ranghi dal tenente Janniello.”
“Agostani ne voglio tre chiaro? Tu non scocciare e vedi di non fare confusione!”
Stando così le cose rientrai nei ranghi pensando filosoficamente che il mio dovere l'avevo fatto...
Ma dopo minuti di tensione in un silenzio immobile Marzo passò all'opzione due.
“Benissimo, visto che siete dei codardi e non volete uscire, vi troveremo noi. Adesso il tenente Janniello vi passerà in rivista!” Disse forte fra il disgustato e l'arrabbiato.
E Janniello avanzò da sinistra.
Mentre camminava lentamente guardava attento tutti gli allievi della prima fila e un sorriso ironico gli si stampava sulle labbra.
“Mio Dio” pensai “non c'è scampo, questo adesso mi riconosce.”
Infatti quando giunse davanti a me si fermò un poco esitante, poi guardandomi fisso mentre il mio sguardo puntava lontano, con un mezzo sorriso mi disse “Eri tu, vero?”
“Signorsì.” Fu l'unica risposta.
Allora Janniello si volse sorridendo a Marzo e indicandomi gli disse “È Lui!”
Non dimenticherò mai più in vita mia lo sbigottimento di Marzo: la sua sceneggiata davanti all'intera Seconda Batteria veniva totalmente a perdere di vigore dopo le mie due confessioni derise. Inoltre le accuse ingiustificate all'onore di 140 allievi ufficiali adesso pesavano enormemente sul suo carisma di capo.
E fu qui che, come rombo di tuono, la Seconda Batteria si scatenò sfogando in pochi attimi tanta tensione repressa.
“Ma lui si è accusato spontaneamente due volte!” Si udì da più parti gridare “Non è giusto!”.
Sentii distintamente la voce di Giuliano Toppan, Pavanetto, Cincinelli sopra tutti, ma anche molti altri che adesso non ricordo, sicuramente Ognissanti e Mondadori. Tutti insomma in coro unanime.
Si perché eravamo un corpo e un'anima sola!
Marzo sentì quasi una sedizione spontanea (giustificata dalla tensione che lui stesso aveva generato) ed ebbe il buon senso di stemperare. Calmò tutti con un gesto e con tono tranquillo mi invitò a seguirlo.
In disparte fra gli ufficiali tentò di farmi un cicchetto ma si capiva che lui stesso non ne aveva più la voglia, così mi disse le solite cose e mi promise qualche giorno di consegna.
Tutto sommato me l'ero sfangata abbastanza bene.
Ma in quel momento la soddisfazione maggiore non era quella di aver capito che la punizione sarebbe stata leggera quanto la sensazione che tutta la Seconda Batteria mi aveva difeso come un sol uomo!


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