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Aldo Millemaggi (Osvaldo Agostani, 10 febbraio 2010)

Andare a lezione in aula era per molti un'avventura.

Si marciava inquadrati in squadre in fila per tre dalla caserma Romano fino alla Montefinale che distava poche centinaia di metri e bisognava anche attraversare una strada esterna.

Marciavamo guidati dagli ufficiali che controllavano con occhio attento il perfetto assetto delle squadre: passo regolare e cadenzato, movimento corretto delle braccia, testa alta. Di tanto in tanto udivi un ringhio: “Tal dei Tali stai punito”. Il motivo della punizione era vario: un commento fatto a voce troppo alta (vietatissimo parlare durante la marcia ed in genere quando si era inquadrati), perdita di passo (che l'ufficiale coglieva con occhio esperto osservando il movimento del capo che si sfasava), braccia che dondolavano non all'altezza corretta. A noi pareva che gli ufficiali provassero un sadico divertimento in quei frangenti e che avessero comunque un quantitativo standard di punizioni da erogare e quindi ci dovesse essere per forza qualcuno da punire.

La maggior parte dei 135 allievi marciava attentissima ma contratta dalla tensione pur con il cervello mezzo ottenebrato dalla levataccia antelucana e dalla nevrotica serie delle incombenze e dei comandi, sempre di corsa, sempre sotto l'incubo dell'ultimo che sarebbe stato punito.

La marcia comunque, almeno quella, era tutto sommato abbastanza rilassante, bastava porre un po' d'attenzione e (forse) te la saresti cavata. Poi si andava verso un certo numero di ore piuttosto riposanti e tranquille perché gli insegnanti generalmente non punivano in aula (e a volte si poteva anche dormire ...).

Ma dopo qualche tempo dall'inizio del corso qualcuno nelle ultime file cominciò a divertirsi facendo qualche scherzo ai compagni durante la marcia. Cominciò ad entrare nell'uso comune il dare qualche piccolo calcetto nel piede di chi stava davanti per far perdere il passo. Non era cattiveria, era solo un modo come un altro per scaricare la propria tensione con un po' di allegria, certo si poteva provocare una punizione ad un compagno ma certamente lo scopo non era quello, potremmo dire che era quasi una reazione spontanea e non controllata ad un livello di tensione troppo elevato. Sta di fatto però che anche a causa di questi scherzetti le punizioni fioccavano e in buona quantità.

Io non indulgevo in questa attività che mi sembrava molto immatura (v'è da ricordare che ero uno dei più vecchi perché avevo già 27 anni...) ed ero anche piuttosto deciso a non subire scherzi del genere. Infatti mi ero presentato al corso molto determinato e, a differenza di tanti che prendevano le cose anche con un po' di allegria, ero chiuso, scostante e stringevo i denti per resistere. Mi ero ripromesso che se qualcuno avesse provato con me avrei reagito duramente.

E pareva che la mia grinta dura e arcigna fosse stata colta fra coloro che mi circondavano solitamente in fondo alla fila perché gli scherzi frequenti non mi colpivano mai.

Ma un bel giorno ...

Una mattina in cui marciavo come al solito inquadrato nelle ultime file perché ero fra i più alti toccò anche a me.

Avevo dietro di me un ragazzone che non sembrava preoccupato dal mio atteggiamento da duro (o forse non l'aveva percepito) ed istintivamente stavo in guardia, nervoso, perché immaginavo che forse questa volta avrebbe potuto accadere.

E infatti accadde!

Durante il tragitto all'esterno, sulla strada per la Montefinale, mi arrivò finalmente il tanto temuto calcetto nel piede. Ressi benissimo il colpo senza vacillare (perché stavo in guardia) ma girai appena la testa mormorando con aria truce “Non farlo mai più!” Ed era una minaccia durissima e decisa che ero sicuro avrebbe colpito nel segno con qualunque dei ragazzotti allegri che mi circondavano.

Ma non con quello.

Perché era Aldo Millemaggi!
E Aldo non solo era uno che non aveva paura di nessuno ma non tollerava nemmeno minacce di nessun tipo. Così immediatamente mi arrivò un secondo calcetto.

La reazione fu rapidissima e quasi inaspettata: mi girai di scatto e tirai un potentissimo calcione, mirando al ginocchio, con quei carri armati degli anfibi che avevamo in dotazione. Fu una reazione assurda. Se avessi colto nel segno oltre a creare un grosso ed inutile guaio ad una persona avrei causato sicuramente la mia espulsione dal corso e forse anche quella di Millemaggi ma come ho detto eravamo (io in particolare) in una situazione di grande stress emotivo ed avevamo perso la reale dimensione delle cose.

Fortunatamente Aldo era un grande atleta: mediano di mischia del Messina Rugby era allenatissimo alle lotte in mezzo al campo, ai colpi proibiti ed aveva riflessi rapidissimi, nettamente superiori alla media. Così per un pelo schivò il colpo. Ma se la prese tantissimo perché giudicò (a ragione) la mia reazione esagerata “Mi volevi spaccare il ginocchio!” Ringhiò “Te la farò pagare.” Neanche risposi riprendendo la mia solita concentrazione grintosa.

Ancora in aula Millemaggi stava giusto dietro di me e di tanto in tanto arrabbiatissimo lanciava sottovoce minacce future tremende e determinate.

***

Passò qualche giorno e finalmente una mattina capitammo entrambi di servizio alle pulizie della prima palazzina. Non c'erano in quel momento ufficiali vari in circolazione, anche gli scelti erano a lezione e i pochi altri di servizio erano impegnati chi a pulire i cessi chi a scopare le camerate. Aldo ed io ci affrontammo all'entrata dello stanzone dei cessi, entrambi con le scope in mano. Cominciò Millemaggi che mi venne sotto il muso con il petto in fuori e disse facendo mostra di spezzare la scopa che teneva in mano “Io ti faccio a pezzi, hai capito? Ti spezzo in due!” Buttai in fuori il petto a mia volta e avanzando a pochi centimetri dal suo viso risposi guardandolo con disprezzo e tendendo i muscoli “Ma chi vuoi spezzare in due? Hai solo da provarci!” Ci guardammo per un attimo fisso negli occhi a brevissima distanza con la tensione della lotta che si poteva tagliare con un coltello, poi con grande disprezzo reciproco ci allontanammo l'un l'altro perché entrambi riuscimmo in quel momento a mantenere il controllo per un pelo.

Lo stesso pomeriggio, appena dopo il rancio del mezzogiorno, affacciatomi alla porta d'ingresso della prima palazzina a fumare la mia sigaretta, vidi Millemaggi seduto sui gradini della seconda che stavano proprio di fronte. Lo guardai in cagnesco e dopo poco Aldo mi apostrofò “Io e te dobbiamo parlare.” Disse duro. Scesi dalla prima palazzina e attraversato il vialetto mi posi davanti a lui in tono di sfida dicendo “Sempre a tua disposizione!” Probabilmente credevo di essere nel Far West o forse avevo visto troppi film, ma come ho detto avevamo di certo perso più o meno tutti la reale dimensione delle cose. “Io non ho intenzione di rovinarmi la vita per una cazzata di questo genere.” Disse calmo “Se per te va bene per me è acqua passata.”

Non lo disse per paura, perché si vedeva che era un tipo che non aveva paura di niente, lo disse solo perché a 21 anni era più saggio di me che ne avevo 27. Sicuramente aveva una gran voglia di suonarmene una carrettata ma non voleva essere estromesso dal corso, eventualità certissima in caso di rissa.

A me si allargò il cuore, non per uno scampato pericolo, perché ero conscio della mia forza e credevo veramente (?!) che gliele avrei suonate di santa ragione, ma perché colsi la cavalleria del gesto e in quei giorni in cui vivevamo di eroismo, di sacrifici e di ideali il mio animo era sensibile alla generosità e al coraggio. Mi sciolsi immediatamente e dissi subito “Se per te sta bene così va bene anche per me.” E tolsi il pacchetto di Marlboro dalla tasca e gliene offrii una. Aldo la prese e ci mettemmo in silenzio a fumare insieme.

***

Il corso terminò e molti di noi furono destinati a Casarsa, sul confine orientale, al 132° Reggimento Artiglieria Ariete. Fra questi Aldo Millemaggi ed io.

Il primo giorno, appena arrivati in caserma, ci spiegarono ogni cosa e ci suggerirono soprattutto le varie opzioni di alloggio. Fra queste c'era anche la possibilità di stare gratis in caserma. Francamente a me non interessava molto sentirmi “libero” fuori servizio inoltre da buon lecchese quel “gratis” mi attizzava molto (perché si dice che per fare un genovese ci vogliono tre scozzesi ma per fare un lecchese di genovesi ce ne vogliono almeno tre!) e così optai per la caserma. Anche Millemaggi, per motivi suoi, optò allo stesso modo. E quando si trattò di scegliere dichiarando le proprie intenzioni, non essendoci alloggi individuali, Aldo mi giunse vicino ed improvvisamente disse ”Ti va se dividiamo la camera?” Francamente dopo quello scambio al corso non avevamo avuto più molti contatti, così il suo approccio mi sorprese positivamente, pensai “Perché ha scelto proprio me?” E mi piacque l'idea che due forti si sentissero virilmente attratti con simpatia, non mi andava di far comunella con una “mezza sega”, così accettai con entusiasmo.

Fu un periodo simpaticissimo, eravamo diversissimi: io lombardo dell'estremo nord, lui siculo che più siculo non si potrebbe immaginare; io piuttosto anziano e preoccupato perché mi mancavano ancora alcuni esami per laurearmi, lui giovane e spensierato perché si era appena diplomato; io con un rapporto difficilissimo con il mio comandante di batteria (un pazzoide squilibrato), lui inquadrato come un signore in una batteria di prim'ordine. Entrambi però soffrivamo gli stessi problemi: le maledette reclute del Gruppo Guide che si esercitavano nel piazzale proprio fuori della nostra finestra alle sei del mattino con l'altoparlante che strombazzava all'improvviso come fanno i muezzin nei paesi islamici, i picchetti con i generali che ci mettevano di punizione, i servizi, le esercitazioni. Ma eravamo anche insieme fuori a divertirci nelle osterie e a tentare di trovare qualche ragazza (e a non trovarne mai nemmeno una!).

Aldo ogni tanto faceva scherzi che io bonariamente subivo come un fratello maggiore e di tanto in tanto mi faceva stupire con le sue esibizioni di forza, sollevando con facilità la branda con me sopra. Un giorno portai da casa uno strumento di body building, uno di quegli estensori a molla che si potevano anche usare in compressione. Io avevo una certa forza (ero stato anche campione studentesco di lancio del peso al liceo), andavo regolarmente ad arrampicare sulle mie montagne e facevo molto sport ed in quel periodo ero veramente in perfetta forma fisica, ma con il mio attrezzo faticavo in compressione tanto che riuscivo con gran fatica a schiacciarlo fin quasi agli ultimi 10-15 cm. Aldo mi vide un giorno esercitarmi e sudare a comprimere quel mostro di attrezzo mentre lui pigramente se ne stava a riposare in branda e dopo un po' prese a scherzarmi perché vedeva con che difficoltà comprimevo senza riuscire ad arrivare in fondo. Mi provocò dicendo che era un attrezzo stupido da bambini e che anche una donnicciola sarebbe riuscita a schiacciarlo fino in fondo “E che ci vuole?” Disse. Rosso in viso risposi “Prova tu allora che sei forte!” Convinto che avrebbe fatto un gran brutta figura, lo spaccone! Aldo si alzo pigramente e scese con calma dalla branda impugnò l'attrezzo piuttosto scocciato e ... oooops in un gesto solo, in un attimo, lo compresse fino in fondo!

In quel momento la memoria riandò a quell'episodio in cui mi aveva detto che mi avrebbe spezzato in due ... e io gli avevo risposto che “aveva solo da provarci” ... Rabbrividii pensando che se ci avesse provato veramente ...


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