Tutto nasce dalle chiacchiere tra amici su un argomento comune a molti: il sevizio militare.
"E tu come lo hai vissuto?"
"Malissimo al corpo, ma al corso sono stato bene."
La risposta appariva bizzarra, occhiate curiose mi spingevano a continuare.
"Ma si, in fondo mi è mancato solo il sesso, ma con tutto quell'esercizio fisico e solo la foto di Rita nello stipetto a ricordarmelo, non è stato un grosso problema."
"E la camerata, la puzza, le marce?"
"Erano simpatici, se qualcuno non si lavava veniva pregato di farlo, anche in modo piuttosto deciso. Ho perso un paio di chili e ripreso tono muscolare. Davvero, stavo bene."
Negli anni queste risposte cominciavano a non essere sufficienti neanche a me.
Sono un solitario, un cinico, un anarchico individualista, sinistrorso, antimilitarista, ex sessantottino. Non vado mai alle cene della maturità.
Odio i "ti ricordi ....... " Sono vissuto sine spe sine metu.
Per me buona compagnia vuol dire: noi due! Al massimo noi quattro, ma per poche ore. Sì, ogni tanto un po' di casino ..... , ma con cautela e misura.
Come ho fatto a trovarmi bene al corso ufficiali?
E bene davvero, quando penso a quei sei mesi avverto un profondo senso di benessere.
E certamente non sono tra quelli che rileggono il passato col paraocchi del presente. Fortunatamente o no, ricordo bene, non solo gli eventi, anche le sensazioni, gli odori, gli stati di frustrazione ed esaltazione, l'evoluzione nel tempo delle opinioni.
Dapprima mi sono dato una risposta interiorizzante. Venivo da un periodo duro. Undici esami e la tesi in dodici mesi e poi, in due mesi, prima l'esame di stato e poi la partenza per il corso.
Ero "cotto", mi sono lasciato andare. Obbedivo in modo totalmente acritico, sostanzialmente contento di non dover pensare e che fossero altri a dirmi che cosa fare e come comportarmi. Questa risposta poteva giustificare un mese, forse due, non sei.
Un'altra considerazione era ricorrente. Ricordo di aver pensato che il servizio di selezione dell'esercito aveva funzionato benissimo. Praticamente tutti i compagni erano intelligenti. La scolarità media era elevatissima. Lo spessore culturale piuttosto alto. Quasi tutti con delle opinioni. Pochi, proprio pochi i banali. Si poteva parlare di argomenti disparati e ricavare sempre qualcosa. Una simile concentrazione di valori in vita mia non la ho più vista. Un gruppo al limite della pericolosità. Chi lo aveva messo insieme aveva dimostrato coraggio intellettuale. A gestirlo non ci poteva andare un cretino!
Mi telefona mia sorella:
"Mi ha chiamato tal Carlo Sanvito, tuo commilitone. Si stanno cercando per ritrovarsi, ho dato il tuo cellulare. Ho fatto male?"
"Hai fatto benissimo."
Una gioia immensa, assolutamente irrazionale!
Una, due, tre telefonate, Osvaldo Agostani .....Giuliano Toppan sta a Trieste, non si è mai mosso dalla regione, ci vediamo in un caffè.
E' così strano, abbiamo vissuto vite diverse tutti, ma le leggiamo nello stesso modo ed il ricordo di quei sei mesi, soprattutto nelle sensazioni, è identico.
Lo stupore è comune, tentiamo analisi sulla base di parametri consueti.
La giovinezza, l'ultima esperienza prima dell'assunzione di responsabilità ......., ma questo vale per tutti i corsi e concorsi, non basta!
A Sirmione le sensazioni si moltiplicano per enne, dove enne è il numero dei presenti.
La retorica è zero, si avverte sentimento, non sentimentalismo, è palpabile!
Parla Giuliano, le sue emozioni: "domani li vedo." dice ricordando con semplice efficacia una sensazione del giorno prima. Mi vengono i brividi e parlo anch'io.
Parlo a braccio, non ho idee chiare, dico che è successo qualcosa di strano e bellissimo. Scomodo S. Paolo, quando in Romani parla di promesse irrevocabili. Quelle promesse che dei bravi ragazzi facevano al sistema di comportarsi bene, e che il sistema faceva loro di ricambiare.
Ed è successo! Siamo qui a testimoniarlo, ed il sorriso è quello di ieri.
Mi rendo conto che quello che vorrei dire è un po' complicato, che andrebbe approfondito, forse qualcuno non capirà, ma le parole mi escono bene.
Poi alcuni verranno a dirmi che ho dato verbo a quanto sentivano.
Servirebbe una analisi più approfondita ed estesa per spiegare il 67esimo. Non è facile da identificare, ma qualche idea me la sono fatta.
Forse quello che penso non è del tutto condivisibile, ma non credo sia acrobatico.
E' successo che la generazione del 67esimo aveva dei particolarismi, che potevano distinguerla dalle precedenti e dalle seguenti. Quasi per noi ci fosse stata di mezzo una guerra. Ma, da un lato, noi del 46, 47, 48 eravamo i figli della guerra per parte genetica (i nostri vecchi, beato chi li ha ancora accanto, avevano molto da dare una volta "tornati a casa"). Dall'altra eravamo i figli del '68 per parte culturale, che almeno in misura tangenziale aveva toccato tutti, sciogliendosi poi quasi nel nulla.
Per quanto mi riguarda personalmente lo ho vissuto con entusiasmo iniziale, poi con delusione. Sono tra quelli che hanno creduto alla necessità di un cambiamento, ma non hanno mai capito la logica del gemellaggio con gli operai, tanto meno quella della liceità dell'uso della P38 che tanti danni ha creato.
I lavori di Paolini chiariscono quegli anni più del pur pregevole libro di Capanna.
Quelli del 50 o giù di lì erano in minoranza, ma svegli, e sono stati cooptati.
Vale la pena di ricordare, a proposito, che tal Augusto Rivolta, alto dirigente di funzione personale nella prima metà degli anni settanta in un suo libretto ora introvabile consigliava le aziende ad assumere i pentiti del 68 assicurando ottimi standard qualitativi. Qualcuno in divisa deve averlo letto.
Se mi si consente un parallelo culturale, chi non li ama salti 5 righe, si può dire che il senso di inadeguatezza, che ha caratterizzato la nostra giovinezza trova paragone solo in quella nostalgia mitteleuropea, anticipata da Nietzsche, che abbiamo letto nella diagonale che ha attraversato l'Europa da Dublino (Joyce) a Parigi (Proust) a Praga (Kafka) fino a Vienna (Schnitzler, Freud) e Trieste (Svevo e ancora Joyce).
Salva la differenza dovuta al fatto che la maturità mediatica ha permesso al '68 di essere più democratico anche se meno permeante.
Qui sta la differenza: a Bracciano si parlava un linguaggio nuovo, più tardi lo avremmo accantonato.
Ritrovandoci lo abbiamo ricordato.
Va da se che quanto sintetizzato qui sopra avrebbe bisogno di un'esposizione di maggior momento, ma la rimando al desiderio di parlarne con quanti vogliono.
Prima del corso la parola cameratismo la collocavo solo nelle barzellette sui froci.
Ed invece, al di là di retorica, paroloni e proclami di basso profilo è qualcosa che ti resta dentro. Semplicemente sai che se serve ti aiuteranno, sanno che se serve li aiuterai.
Criticatissima, assurda, ma a ben guardare necessaria e presente, con varianza ponderale ovunque. La forma, piaccia o no, è contemporaneamente comunicazione di esistenza, identificazione di ruolo e dichiarazione di appartenenza.
Va da se che presso i soldati abbia sempre avuto uno spazio notevole a partire dai "paglia e fieno" e "facite ammuina" borbonici fino alle parate sovietiche ed alle folcloristiche dimostrazioni muscolari americane.
Ha poi anche una valenza estetica, gli "immortali" di Dario e le "SS" di Adolfo erano indiscutibilmente belli da vedere, ancorché inquietanti.
La forma dà anche la possibilità di esibire un minimo comun denominatore, permette all'occorrenza di coprire, con un comportamento standardizzato ed un egual vestire, carenze eventuali di contenuti ed in quest'ottica va letta come un "male necessario".
Il problema nasce quando si perde di vista la distinzione tra forma e contenuti.
Quando, cioè, tra i due valori, così diversi, si crei una osmosi, che non permetta più di distinguere dove cominci l'uno, dove finisca l'altro.
Quando un tanto avviene, in tempo di pace è barzelletta, in tempo di guerra è tragedia.
Marzo (mi si consenta di elidere i titoli, se volessi mancargli di rispetto tacerei di lui) sembra semplice. E invece non lo è, si disegna così perchè così lo vuole il sistema.
Crede in quello che fa e vuole fare carriera.
Che abbia intelligenza, capacità, che sappia muoversi bene è evidente da subito.
Che sotto la divisa e dietro al mascellone ci fosse altro io non lo avevo capito e di questo mi sono già scusato con lui.
L'eccezionalità di Marzo, la sua complessità è costituita da una forte auto stima che non sconfina nella presunzione.
Questa non poteva essere l'analisi di un 25enne.
Questa autostima gli permette, da un lato di non avere il bisogno esistenziale di affermare in continuazione la propria autorità, dall'altro di pensare con la propria testa (cosa desueta).
Tagliando la testa al toro si potrebbe dire che era autorevole non autoritario e che per lui forma e sostanza, entrambe importanti, rimangono in larga misura sempre disgiunte. Ed avremmo detto quasi tutto.
Quasi! Marzo evidenzia anche, visto nella storia della memoria da un osservatore attento, una sottile ambiguità virtuosa.
Per farmi capire citerò tre aneddoti.
Al primo tentativo di andare in libera uscita alcuni di noi, tirati come più non era possibile, lo incrociano.
"Che fighi! Mi raccomando eh spigliatezza!"
La traduzione mi riuscì chiara dopo anni.
"Fate sul serio, ma non prendetela troppo sul serio"
"Troppo" è la parola chiave e "spigliatezza" nasconde un messaggio di complicità che mai avrebbe potuto esprimere con chiarezza.
Durante un momento tranquillo due di noi giocavano a scacchi od altro. Non ci nascondevamo, eravamo sui gradini della camerata.
Si avvicina sornione, noi ci alziamo rispettosi.
"E se vi vede il nemico?"
Anche in questo caso la sintesi di Marzo sottende un messaggio complesso.
"Non ho nulla in contrario se riuscite a ritagliarvi qualche momento di svago, ma c'è chi la pensa diversamente."
Marzo esclude ancora la complicità, ma preferisce nell'occasione l'allineamento condiviso a quello coatto, il carisma glielo consente.
Dopo un addestramento formale tra i più duri (non è morto nessuno), al rompete le righe reclamiamo a gran voce una doccia.
"Ma è fredda!"
"Non ce ne frega niente, la facciamo lo stesso"
"Ve l'ho fatta scaldare fresconi"
lo quella doccia non la dimenticherò mai, l'allegria in camerata era alle stelle.
Fresconi si traduce con: "Per me il vostro benessere è un valore"
Altruismo peloso? lo credo di no. Secondo me Marzo era fatto così.
E allora la conclusione è che ci siamo trovati come capo un manager moderno ed una brava persona. E quando dico di qualcuno, che nonostante sia intelligente ed in carriera è ancora una brava persona, voglio fargli un grosso complimento.
Per finire: Marzo non è stato il protagonista del 67esimo, ma la conditio sine qua non per l'esprimersi del suo particolarismo. Ha permesso che un tanto accadesse.
Un grazie Emilio pieno, sincero e consapevole ci sta tutto.