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Pillole militari: I Parte (Claudio Cicheri, 16 maggio 2011)

Il militare: non avrei mai voluto farlo. Il mio terrore era l’iniezione al petto. Ancora adesso sopporto poco la punta dell’ago e se devo fare le analisi del sangue, mi giro sempre dall’altra parte. Preferisco affrontare un leone, piuttosto, lo guarderei negli occhi per capire che intenzioni ha, e agirei di conseguenza. Invece la cartolina arrivò e nel momento meno opportuno (legge di Murphy) e con pochi giorni di preavviso. Mi feci tagliare i capelli, ma servì a niente perché “cocis lo squartatore” mi tagliò quel centimetro che rimaneva e a cui ci tenevo.
Il treno: per la prima volta presi il treno da Verona, circa 7 ore di viaggio, verso una meta cui non si arrivava mai, sul treno nessun militare, fino a Bracciano. A Roma con tutti quei binari, era semplice trovare il trenino per Viterbo, bastava andare al primo o secondo “binario giardino o nome simile”, ma io non vedevo ne giardini ne prati e poi non capivo perché il binario non iniziava dove iniziano o finiscono gli altri?. Era tutto così complicato. Le scritte non so se c’erano o se non le vedevo, tanta era la volontà di tornare indietro. Alla fine, lo cercai, di sera fino a trovarlo. A Bracciano, scesi a sera tarda e subito lì c’era qualche militare, guardò la lettera e dopo un po’ salii su quella specie di automezzo “ che si chiama CR ed aria condizionata e fumo nero, tutto gratis”. Prima lezione di fisica: il vuoto che crea sul retro fa si che il fumo viene assorbito tutto dagli occupanti del cassone. In caserma tutto buio, in qualche modo, mi sistemai. Al posto del gabinetto andai a finire in una doccia. Al mattino bisognava fare il cubo, che cubo non era; prima incongruenza. L’erba si toglieva col coltellino tattico, altra incongruenza.
Le sigarette: si fumava (sigarette di tabacco ai nostri tempi..!), ma dopo un po’ si imparava a non buttare le cicche sul viale o sulle aiuole, si cercava sempre di gettarle nei tombini, perché altrimenti bisognava raccoglierle[1].
L’iniezione: tutti in fila, come una catena di montaggio, petto nudo, all’aperto. Misi la collanina in bocca, guardai lo spigolo in alto della palazzina, non sentii niente, ero rigido come una pietra, ad un certo punto qualcuno mi diede uno spintone chiedendomi se ne volevo fare un’altra. Quello prima di me era caduto (svenuto), non seppi mai chi era e probabilmente non lo vidi. Qualcuno me lo disse a fatto avvenuto. Non ricordo nemmeno che usavano un “manico di scopa simile allo scovolo per pulire gli M109” per disinfettare, scovolo che immergevano in un secchio di disinfettante, ma ricordo che il liquido era sceso fino alla cinta, forse oltre, forse era tintura, marchio indelebile.
Il mangiare: un po’ diverso da quello di casa, troppo differente (a me faceva schifo, sono di “bocca buona”, anche se ora per noi degli anni 50-60 conviene mangiare “da malati per vivere sani”) incominciai a conoscere la mortadella e i sottaceti e rigatoni, solo rigatoni sempre rigatoni. A quei tempi in campagna i sottaceti si facevano in casa ed erano di buona qualità, una bontà. Al posto della mortadella avevamo dei salami genuini, coppa, pancetta profumata. Per questo si usciva alla sera. Ottimi i cannelloni, vicino al castello in paese o il pesce, pasticcio ottime pastasciutte... tutte le ricette erano una prelibatezza (a confronto la cucina veneta rispetto alla laziale, fa schifo. Ricordo la pastasciutta alla carbonara, alla diavola, amatriciana, carne ai ferri (e non di maiale ... come qui in bassa Padana che hanno sempre in mente il risotto con la salsiccia e costine di maiale, pancetta di maiale ai ferri, salsicce -> sempre maiale è e resta!). Posti come Anguillara Sabazia, Manziana e dintorni sono da registrare nell’enciclopedia dei posti buoni, ma si mangiava bene anche in qualche posticino in paese, ma ho rimosso tutto di quel periodo.
FREUD: direbbe proprio che è stato un periodo di perditempo. In effetti terminata la scuola, provai un anno di università, ma poi capii che era meglio trovare un posto di lavoro. La campagna, di casa mia, ha la terra bassa e così mi cercai un posto provvisorio, in attesa del militare. Quando arrivò la lettera ero in ferie e così mi son mangiato una parte del mio riposo, la lettera mi rovinò la settimana.
Termine corso: fui assegnato a Cordenons (PN) e così ero a circa 150 km da casa. Con l’auto era uno spasso, tornavo a casa ogni settimana anche se, per poco. Era già diverso. La caserma non era grande ospitava un gruppo di carristi e un gruppo di artiglieria. La cucina degli ufficiali era una buona cucina, perché gestita da un nostro collega non di carriera, la spesa veniva fatta più o meno negli stessi negozi dei militari, con qualche differenza sull’acquisto: noi si entrava dalla porta principale, loro entravano sul retro per raccogliere gli “scarti”..purtroppo le cose funzionavano così e io col maresciallo della mensa mi scontrai più di una volta, ma poi quando vidi che andava a braccetto con gli alti ufficiali, capii che era meglio lasciar perdere, ma qualche frecciatina non gliela risparmiavo, anche se qualche volta approfittavo del mio grado: il fine giustifica i mezzi e i militari meritavano un pasto migliore, secondo me.
Rafferma: Il comandante un giorno mi chiamò, chiedendomi se ero interessato alla rafferma, mi presi qualche giorno di tempo, ma poi arrivò l’avviso di convocazione per i tre concorsi fatti in FS. Durante il corso AUC feci tre concorsi in FS, aiuto-macchinista, Capotecnico per perito meccanico (in officina) e per Capotecnico per perito elettrotecnico (mio ramo), li vinsi tutti e tre, ma alla prova psicotecnica (due pedali ai piedi + due pulsanti alle mani) per l’aiuto-macchinista non andò bene. Ero tornato da Bracciano di notte con un 36 h, completamente addormentato senza riflessi pronti, fu un disastro. Fu in questa occasione che al Nostro Gran Capo che mi accordava solo un 36 ore risposi: io qui ci sono di passaggio e questo esame potrebbe cambiare le sorti della mia vita futura, inutile dire che ero ..incazzato (7 ore di andata, 7 ore di ritorno). Poco prima di terminare il militare mi chiamarono per il concorso da Capo officina; rifiutai perché mi diedero la conferma-sicurezza che a poco mi avrebbero chiamato nell’arma azzurra degli impianti di sicurezza: qui penso proprio di aver lasciato un buon ricordo, poiché oltre a fare il capo impianto mi sono prodigato e dedicato all’istruzione del personale, con diverse istruzioni, fatte da me. Inventai una raccolta di schede per la taratura di tutte le apparecchiature, per ogni apparecchiatura, lessi e rilessi tutte le circolari emanate da Roma dal 1933 al 2008. Feci un sunto per quelle necessarie e fondamentalmente utili. Mi diedi da fare ed ebbi ottime soddisfazioni: avevo trovato il lavoro, per quello che avevo studiato; l’elettronica era la mia passione e lo è ancora insieme all’informatica, anche se sono di estrazione elettrica ora sono in pensione, ma non ho mai abbandonato la scienza: fisica, chimica, matematica, elettronica...ogni giorno mi ascolto qualche lezione di Uni-Nettuno..il PC è sempre acceso e con emule..vola alla grande..Ho già riempito un HD da 1 TeraByte di lezioni.
Sono in pensione: ho meno tempo libero di prima. Che faccio? Orto, giardino, bicicletta, camminate, ho sempre un metro cubo di libri da leggere, se piove faccio un’ora di TAPIRULAN, mentre guardo una lezione su uno dei tanti argomenti.
I colleghi AUC: in effetti, quando ci siamo lasciati avevamo gli indirizzi. Ma la posta era un sistema scomodo. Poi ci siamo sposati, ognuno ha scelto la propria via, ha cambiato paese, si son persi i collegamenti, non abbiamo mantenuto i collegamenti, io per primo. Adesso le cose sono più semplici, esiste il PC: e-mail, telefono, cellulare..ai nostri tempi non c’erano 2-3 telefoni per casa! 3-4 cellulari come si potessero usarne 2 contemporaneamente. La tecnologia avanza, è avanzata troppo.
Risultato: è bello ritrovarsi e vorrei lanciare un richiamo affinché si uniscano a noi i pochi che son rimasti fuori, se non volete partecipare ai raduni in località lontane, partecipate, almeno ai raduni locali. Anch’io mi ero posto la domanda: a cosa serve? A cosa serve dopo così tanto tempo che ci siamo lasciati? Serve perché siamo un gruppo! Esiste lo spirito di corpo? Siamo un gruppo coeso, serve per scambiare opinioni serve per ritrovare colleghi che per un arco di tempo sono stati in quel paese che vive solo sui militari e che tanta umidità conserva. Non è un raduno di vecchi, abbiamo tutti la stessa età, dentro siamo giovani e giovani anche fuori. Le differenze nel gruppo non si vedono, si livellano, quando siamo nel gruppo. Si evidenziano solo quando siamo fuori dal gruppo, quando per la strada incontriamo giovani o persone più anziane di noi.
Viterbo: passano gli anni e per motivi di lavoro ho l’occasione di ritornarvi, ho visitato l’impianto di telecomando di Viterbo ripassando sulla stessa linea ferroviaria (il binario giardino questa volta l’ho trovato subito, ma non ho visto il giardino). A Roma partecipai a diversi corsi di aggiornamento, per diverse settimane distribuite in 2-3 anni: a Roma, poi ci tornai per 15 gg di ferie, passate interamente a visitare tutta la città e posso dire che l’ho vista sotto un’altra sfaccettatura: quella del visitatore con guida turistica in mano[2]..
Anche a Bracciano ci tornai a dare un’occhiata, ma dopo anni le cose cambiano..
Ma FREUD ha ragione.. è un periodo rimosso, ricordo tutto prima e dopo il militare, ma non durante. Ora rivedendo le foto un po’ alla volta riaffiora qualcosa...ma troppi mesi, per me è stato un perditempo.


[1] È positivo imparare che non si buttano per terra.
[2] Avevo letto un buon libro di storia sui monumenti di Roma antica, prima di partire


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