Fi tu
Che vuol dire ?
Avrei certamente cestinato l'e-mail se non fosse stato familiare il nome del mittente. Era mio marito e il “fi “ andava letto all' inglese...
“ Fai tu “ così mi dice sempre quando si tratta di scrivere.
Ma l'invito a scrivere un resoconto - al femminile - su un sito di soli uomini non mi era mai capitato. Quegli uomini però li avevo conosciuti insieme alle loro mogli durante i vari pranzi e del resto anche loro, indirettamente, avevano conosciuto me fin dai tempi di Bracciano, citando nel “MakP100“ la smania epistolare.
Smania epistolare contagiosa... infatti sono venuta a sapere che adesso sono loro stessi a profondersi in numerose missive nel sito del 67°.
Il mitico 67°.
Ovvero quarant'anni dopo. Da non crederci.
Bracciano era ancora lì, dominata dal quadratone del suo castello, con il banchetto della venditrice di porchetta romana sulla strada, con i tanti ristorantini all'aperto.
Ci sentivamo tutti in libera uscita la mattina di domenica 16 settembre tra le viuzze del centro storico. Tutti, uomini e donne. Felici di rivedere il bar dal quale ci si chiamava col telefono a gettoni oppure l'alberghetto dove avevano dormito i parenti. Praticamente quasi uguali.
E laggiù l'azzurro intenso del lago con tante vele bianche.
Tra poche ore ci saremmo riuniti da Alfredo per l'incontro ufficiale.
Nel pomeriggio i maschi avevano ancora parecchio lavoro da sbrigare e li vidi davvero molto indaffarati. Raggiunsi altre mogli al sole a bordo piscina. Si stava bene a chiacchierare insieme, ci consideravamo amiche, ma il 67° aleggiava su di noi . Noi ci sentivamo il... 33 e mezzo ovvero l'altra metà del cielo.
Intanto si avvicinava il tempo di agghindarci per la festa.
Nella sala vociante si abbracciavano gli ultimi arrivati.
Ma per entrarci, gli uomini dovevano superare il banco dell' accoglienza dove tre implacabili esattori (Comolli, Ferrini e Ferro) consegnavano i gadget del Quarantesimo: bottiglietta commemorativa by Ciccazzo, DVD, badge di riconoscimento, programma dell' incontro e menù della cena.
Quando fuori cominciava ad imbrunire, Osvaldo Agostani, perfetto nel suo blazer blu, diede inizio al revival con brillante eleganza oratoria.
Sul lago qualcuno lanciava fuochi artificiali. Ottimo auspicio.
Il primo fragoroso applauso fu per “L' Idea“ ovvero per Mauro Cursio cui va il merito di aver pensato di rintracciare i compagni di corso.
In quel momento mi ricordai di essere stata io, anni fa, a rispondergli al telefono. Una voce delicata, quasi in tono di scusa, chiedeva di Domenico ed immediatamente pronunciava la magica parola: Bracciano. Certo che mi ricordavo anch'io!
E adesso, proprio a Bracciano, eravamo tutti riuniti.
Intanto Osvaldo chiamava al tavolo Renato Scazzocchio, uno degli Autori che avevano fermato e firmato la storia degli AUC nel “MakP100“.
Titolo misteriosissimo di cui non ho mai osato chiedere spiegazioni temendo la figura dell'ignorante. Sfogliando il libretto, quarant'anni fa, l'avevo giudicato una goliardata. Oggi rileggendolo lo considero un prezioso scrigno.
Scazzocchio ci intrattenne in un esilarante siparietto raccontando come per quella serata avesse tentato di riagganciare la sua ex ragazza e di come lei, ancor nubile dopo quarant'anni, l'avesse “scaricato“ rifiutando l'invito.
Renato aveva con sé un piccolo tesoro: i disegni originali del “MakP100“ eseguiti da Claudio Guardi cui li consegnò tra gli applausi di tutti.
Soltanto per quel momento Claudio si staccò dalla sua inseparabile macchina fotografica con la quale riesce a creare splendide foto-poesie. E si lasciò lui stesso fotografare.
Poi nella sala si fece il buio preparatorio alla proiezione del filmato. La ben modulata voce narrante di Carlo Sanvito accompagnava le immagini di tanti giovani.
All'inizio la platea rumoreggiava con risatine e commenti, poi d'improvviso si mise a tacere, completamente assorbita dalla nebbiolina dei ricordi.
Il filmato era davvero molto bello! Non c'è bisogno di ulteriori commenti. Penso che ognuno ne conservi un vivo e personale ricordo.
Ammetto di essermi sentita ripetutamente molto emozionata, ma anche sui volti degli uomini si notavano umidi brillii.
Da Oscar la regia di Giachetti e Sanvito (in ordine alfabetico).
Il riaccendersi delle luci in sala ci riportò alla serata ancora ricca di avvenimenti.
Il “ Duo E.G.” aveva lavorato alacremente: Eugenio Giachetti alla consolle multimediale, Enzo Gusperti alla strumentazione sonora e visiva.
Fra poco Carlo ci avrebbe lusingati con la possibile preparazione di un futuro nuovo filmato, però prima si impossessò del microfono sua moglie Giusi che con parole dolci ma dissacranti, sdrammatizzò l'atmosfera dicendo che tutto sommato quei ragazzi a Bracciano non se l'erano passata poi così tanto male.
Anche noi ragazze avevamo avuto un ruolo nella vita del 67°. Ed eravamo in tante ad aver vissuto quel periodo accanto ai rispettivi “ soldatini “ (pardon, Allievi Ufficiali di Complemento). Incoraggiandoli, rincuorandoli, riempiendo la reciproca nostalgia con tante lettere e ricevendone di meno.
Da casa, tuttavia, noi avevamo il vantaggio del costo dimezzato del francobollo e soprattutto non avevamo l'assillo delle... palline. Quelle bianche ed in numero di tre, s'intende.
Noi donne riconosciute importanti, definite A.C.S. utilizzando un acronimo degli A.U.C.
Però non solo A.C.S. (Allieve Compagne al Seguito) ma anche e soprattutto A.C.F. (Allieve Compagne al Fianco) come sottolineai io stessa durante il revival.
Intonato a queste considerazioni fu memorabile l'incipit del generale Marzano: “ Mia moglie mi ha detto di ...”
Immediatamente mi divenne simpaticissimo. Aveva sfatato il mito dei generali unicamente dediti al comando ed a sentirsi sempre ripondere signorsì.
Grazie gen. Marzano, dai bellissimi occhi azzurri valorizzati dalla camicia in tinta.
A questo punto si concludeva la parte di “ testa “ dei festeggiamenti del Quarantesimo. Cominciava quella di... “ pancia “.
Giù dall'Alfredo sul lago ci aspettavano ancora tante sorprese, grazie alla generosità di due commilitoni che ci fecero gustare le loro specialità.
Su un lungo tavolo tra patatine e stuzzichini vari fu servito l'aperitivo offerto da Massimo Toschi. Davvero molto gradevole il Fragolì al Prosecco! Il rosso liquore ricco di frutti unendosi con le bollicine del vino ghiacciato esaltava nel bicchiere la presenza delle fragoline di bosco. Un'unione inaspettata che regalava al palato un gusto dolce sferzato di frizzante, insieme ad una grande varietà di sfumature per gli occhi che guardavano nella trasparenza del bicchiere.
Nell'ampio salone c'era un'atmosfera di immensa felicità.
Ci si riabbracciava, ci si tirava pacche sulle spalle, si chiacchierava. Poco di lavoro, molto di affetti familiari. Con gli occhi luminosi qualcuno mostrava le foto dei nipotini.
I tavoli erano stati predisposti per raccoglierci in base al box di appartenenza dei mariti. Il più lungo (il mio) quello del 5° box aveva ben 23 coperti.
Ottime tutte le portate.
Perfetto per sapore e tempo di cottura il risotto “ Persichella “. Nome davvero curioso, legato alla storia della famiglia di Alfredo. Una sua parente da piccola era molto bella.Visetto tondo bianco e rosa, pelle morbida e vellutata come una pesca. Persichella romana, appunto. Questo divenne il soprannome della famiglia ed è tuttora presente come nome distintivo del Ristorante.
Davvero ben combinati gli ingredienti di quel risotto multicolore. Nel bianco riso classico occhieggiavano i neri chicchi del Riso Venere, insieme al giallo dei fiori di zucca e al verde del prezzemolo. Una tavolozza nel piatto! Da arricchire a piacere con qualche goccia del pregiato Aceto Balsamico Gino Toschi, nonno di Massimo.
Tra una portata e l'altra si parlava con i commensali più vicini, con i più lontani ci si intendeva a gesti.
Fra i tavoli girava un infaticabile folletto sempre al lavoro per raccogliere numeri, dati o firme. Dotato di uno schietto sorriso travolgente. Franco Mondadori.
Arrivò la torta accompagnata dallo splendido passito “Elorina“ dal profumo dell'uva sul mare e dal colore giallo oro come l'intenso sole siciliano sulla collina di Eloro.
Anche questa volta, come nei precedenti pranzi, chi ci deliziava era Rosario Ciccazzo, ottimo “anfitrione“ che stavolta si era davvero superato donando a ciascuno una bottiglietta di passito appositamente ideata a ricordo del 67° nei suoi... primi quarant'anni.
Un souvenir carico di significati che resterà inviolato nelle cristalliere delle nostre case.
E non era tutto.
Direttamente dalla Sicilia aveva portato, intatto, un grandissimo prezioso ricamo di croccante alle mandorle (alias mandorlata, alias torrone).
Ci fu allora un grande accorrere per farsi fotografare accanto alla dolce sigla “67° A.U.C.”
Le sorprese non erano finite.
Con un magnifico interscambio fra Rosario e Massimo, ai tavoli vennero distribuiti in gusti diversi i Mytopp-Toschi per ornare la fetta di torta.
E per il fine pasto un trionfo di liquori come il Nocino e il Lemoncello.
Alle signore del suo tavolo fu Massimo Toschi in persona a versare una bevanda bianco rosata. Alla vista apparentemente analcolica come il latte, ma alla bocca delicatamente alcolica, morbida ed avvolgente e col sapore delle fragole di bosco. Il “Fragolì Cream“.
La cena di gala era finita.
Fuori alcuni affidavavano tremolanti lanterne cinesi al cielo buio sopra al lago.
Anche noi l'indomani ci saremmo dispersi verso le nostre mete. Ma solo dopo aver vissuto un altro evento insieme.
La visita alle caserme costituiva, per me, un grande elemento di perplessità. Mi sentivo molto reticente ad andarci e l'alternativa di una gita in battello era decisamente più allettante.
Moltissime altre mogli erano dello stesso parere. Eppure ci ritrovammo al di là dei cancelli di ferro, tra vasti cortili di cemento circondati da alberi alti. E la mattinata, sentite poi le considerazioni delle altre donne, non fu affatto noiosa. Riuscimmo perfino ad ascoltare un'infilata di dati tecnici sui nuovi mezzi militari dell'artiglieria moderna. Un po' difficile per noi, ma gli uomini ne erano interessati.
Piacevolissimo, invece, l'eloquio del Generale Marzo il quale ci introdusse in un simpatico gioco di “se“ tra la realtà militare di quarant'anni fa e quella attuale.
Tra Agostani (che al collo indossava il fazzoletto giallo del Corso) e il Colonnello D'Amato ci fu uno scambio di targhe.
Con emozione partecipammo alla consegna della nostra con incisi i nomi di tutti gli AUC del 67° 1972 e poi commossi ascoltammo Giuliano Toppan (il nostro... gigante buono) elencare i nomi di chi non c'è più.
Anche in loro memoria venne successivamente deposta la corona d'alloro davanti al Monumento ai Caduti.
Tutti gli uomini del 67° erano allineati, ben ritti sull'attenti. Qualcuno col saluto militare. Un altoparlante diffondeva ad alto volume le note del “Piave“. Noi donne eravamo in giro qua e là a fotografarli. Ma in rispettoso silenzio.
Dalla Montefinale ci trasferimmo di fronte, alla Caserma Romano.
Un soldato fermò il traffico per favorire il nostro attraversamento della strada.
I conducenti spensero i motori, ma sui loro volti non c'era nessuna manifestazione di insofferenza. Segno evidente dell'ottima interazione tra militari ed abitanti del territorio braccianese.
All' interno della “Romano“ giovani soldatesse insieme ai maschi si addestravano dando pugni e manate ad ingranaggi di cannone.
Un po' lontane dall'idea di femminilità inculcata a noi da piccole.
Alcuni dei nostri uomini esprimevano divertenti commentini piccanti accompagnandoli con il guizzo birichino degli occhi.
Camminavamo tra i viali, qualcuno bisognoso di pulizia per la presenza di un discreto numero di foglie secche, rami rotti e di un soffice letto di aghi di pino. Pensai che i nostri mariti, ben addestrati dal lontano servizio di leva, un tempo sarebbero stati messi di ramazza.
Intanto chiacchieravamo tra noi rievocando numerosi aneddoti.
Come quello della prima domenica a Bracciano quando ai novelli AUC venne chiesto di dividersi tra chi voleva o non voleva andare a Messa.
Chi scelse di non andarci fu mandato di corvé alla pulizia dei servizi.
La domenica successiva tutti si dichiararono cattolici praticanti.
Durante il percorso di visita i nostri uomini ci indicavano le cose più rilevanti: il luogo dove c'era il muro su cui si arrampicavano durante le esercitazioni fisiche, la garitta di cemento (dove non ho ben capito se vi abbiano fatto o meno la guardia) il cortile in cui allineavano i camion, l'edificio adibito a mensa, oggi notevolmente ammodernato.
Una grossa pigna per terra ci riportò alla mente l'amico genovese Giovanni Colombo che allora le raccoglieva per estrarne i pinoli. Vi ritrovava il sapore del pesto di casa. O forse calmava la fame, considerando la sua magrezza a quell'epoca.
Parlando di cibo, il discorso scivolò sul ricordo delle bruschette che venivano preparate nelle giornate di esercitazioni militari all'aperto. Pane strofinato di aglio, con olio e pomodoro. Qualche volta con una fetta di coppa.
Il momento più carico di emozioni arrivò quando rividero le loro palazzine. Proprio così: loro palazzine. Quell'aggettivo possessivo indicava il fermo-immagini mentale. Il tempo si era fermato al 1972 quando, giovani e lontani da casa, là dentro avevano stretto amicizia con altri ragazzi mai visti prima, confidato i loro segreti, riso e scherzato, brontolato per le punizioni subite, gioìto per le licenze, scritto a casa, letto e riletto la corrispondeza più significativa, imparato com'è difficile il cubo perfetto, dormito esausti dopo una giornata di marcia, studiato per essere promossi all'esame finale e per essere mandati poi in un'altra caserma...
No. Ogni altra destinazione non sarebbe diventata più importante di queste palazzine di Bracciano.
Qui era rimasto il cuore dei loro vent'anni.
Quante foto per farsi immortalare ancora davanti alla porta d'ingresso.
Correva voce, quel lunedì, che qualcuno avesse tentato di aprirne una, ma (poco credibile) di essere stato messo in fuga da una soldatessa urlante.
La palazzina adesso era abitata dalle donne.
Se avessero saputo quarant'anni fa che quella palazzina sarebbe stata abitata dalle artigliere...
Se avessero saputo quarant'anni fa che il semovente di tante esercitazioni sarebbe diventato una specie di vecchio pachiderma. Pezzo da museo statico all'aperto...
Se, se ... Aveva ragione il Generale Marzo.
Ma attorno a quel veicolo restammo a lungo.
I volti degli uomini erano sorridenti, le voci allegre. Anche il vecchio semovente sembrava che li avesse riconosciuti e sorridesse felice sentendoli far la gara per entrare di nuovo nel suo ventre ed affacciarsi al finestrino per farsi fotografare.
Frattanto il tempo passava. Verso mezzogiorno incrociammo un folto gruppo di soldati e soldatesse diretti alla mensa. Ci guardarono incuriositi.
“Siamo il vostro futuro“ dissi loro.
Erano giovanissimi. Camminavano in un raggruppamento ordinato, pur non essendo inquadrati. Il rumore dei loro passi era appena percettibile, così come il loro parlottìo.
Suoni ben differenti da quelli di certi loro coetanei per le strade.
La visita alla “Romano“ si stava concludendo. Ancora uno sguardo indietro per fermare nella mente il ricordo di quelle palazzine oggi dal tetto verde.
Nessuno, però, aveva voglia di raggiungere la propria auto parcheggiata alla “Montefinale“.
A lungo restammo lì chiacchierando a gruppi sparsi che si scomponevano e ricomponevano per afferrare, nella piacevolezza del sole settembrino, le ultime voci gli ultimi sorrisi gli ultimi abbracci.
“A tra poco, a tra poco! Quando organizziamo ancora un altro incontro? “
Alla sbarra vicino al cancello, il soldato di guardia salutava col saluto militare chi sulle auto cominciava ad uscire.
Mio marito rispose col saluto miltare.
Io piegai le dita e feci “ciao“.
Elisa C.